Paolo
Mieli è il direttore del Corriere della Sera. Persona moderata e autorevole,
in una recente conferenza, rivolgendosi agli esponenti del governo in carica
in quel momento (che lui dichiarava di aver sostenuto), ha sviluppato un ragionamento
su una cosa da fare e sui tempi nel quale farla. L'argomento generale che Mieli
trattava era la semplificazione degli apparati pubblici e la stanchezza dei
cittadini, dubbiosi sulla loro utilità e sui costi. Il tema particolare era
invece la riduzione della squadra di governo che, comprensiva di ministri e
sottosegretari, assommava a più di cento persone.
Per chi non ha tempo di approfondire, chiariamo che il governo Prodi,
al quale Mieli si riferiva, era formato da un primo ministro, un vice primo
ministro, un numero di ministri tra i 15 e i 20, e un numero di sottosegretari
(o viceministri) che faceva arrivare il totale a 112. Mieli sollecitò, ripetutamente
e insistentemente, il governo a ridurre il numero della squadra. Affermando,
con durezza che "non se ne poteva più" e che la riduzione andava fatta "l'indomani
mattina e non nella prossima legislatura".
L'avesse detto Beppe Grillo, vi avremmo fatto meno caso. Detto da Paolo
Mieli, la cosa colpisce. Quanto richiesto dal direttore del Corsero è da considerare
un segno dei tempi, una richiesta di grande importanza perchè la riduzione di
una squadra di governo è sì atto poco più che simbolico dal punto di vista del
risparmio, ma è straordinariamente efficace per indicare le reali intenzioni
di chi governa riguardo alla riduzione delle spese.
Il racconto di un episodio può essere utile per capire come, in questi
ambiti, ci si muova nella "grande politica". Diversi mesi orsono la Commissione
per la riforma delle Istituzioni della nostra Regione (col solito profluvio
di sedute, di fasci di documenti, di viaggi e di gettoni di presenza), era arrivata
alla conclusione democratica, moderna e più o meno unitaria che il numero dei
consiglieri regionali andava aumentato nella prossima legislatura. Ogni consigliere
costa a tutti noi sui 100/150mila euro l'anno di solo stipendio.
Un importante membro di quel consesso disse che l'aumento era per lui
opportuno "perchè a conti fatti il mio partito può aumentare la propria rappresentanza
ad almeno un consigliere per provincia". Non stiamo scherzando. Il ragionamento
fu quello: testuale e documentabile. Dopo le irriverenti manifestazioni promosse
da Beppe Grillo e la pubblicazione del libro "La Casta", l'allora segretario
dei Ds, Piero Fassino, annunciò durante un'intervista che gli aumenti del numero
dei consiglieri in atto nelle regioni andavano fermati.
Se ne potrebbe dedurre che la politica, più che marciare per determinati
obiettivi, marcia "coi nervi a fior di pelle". Anche se non tutte le responsabilità
possono essere messe in capo ai partiti. Troppo comodo. La realtà è che nel
nostro Paese si reagisce solo quando si ha l'acqua alla gola. O la "merda",
come in Campania.
Steve