Una delle polemiche più attuali e durature nell'ambito della politica italiana
riguarda l'esenzione dell'Ici concessa a proprietà ecclesiastiche. E' un tema
complesso, regolato da un decreto legislativo e due decreti legge che si sono
susseguiti nel corso degli anni. Per fare chiarezza, cercheremo di spiegare
cosa prevedevano le norme in questione.
Si parte dal decreto legislativo del 30 dicembre 1992 n° 504 articolo 7 che,
al paragrafo 1 lettera I, dice che sono esenti dall'imposta (Ici) gli immobili
"destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali,
previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive".
Secondo questo decreto, diversi Comuni italiani, quando ritengono che in quegli
immobili non vi siano solo servizi di tipo assistenziale, previdenziale, ecc.
ma vi sia anche una attività "commerciale" e dunque venga meno il criterio dell'esclusività,
chiedono il pagamento dell'Ici. Ad esempio: se nel cortile di fianco ad una
chiesa si apre un bar a supporto delle attività dell'oratorio e i "clienti"
pagano la consumazione, che succede? Per alcune amministrazioni era giusto far
pagare l'Ici sulla superficie del bar, (ovviamente non su quella relativa all'esercizio
del culto e attività connesse). In moltissimi casi le realtà ecclesiastiche
coinvolte non hanno ritenuto di dover pagare l'Ici richiesta, aprendo dei contenziosi
con le amministrazioni locali.
Per di più, il 4 dicembre 2003 esce una sentenza della Corte di Cassazione
che, esprimendosi sul caso particolare di immobili di proprietà dello Iacp (Istituto
autonomo case popolari) di Milano, afferma che l'esenzione dell'Ici esige due
condizioni: che gli immobili siano utilizzati direttamente dall'ente possessore
e che la destinazione sia esclusivamente rivolta ad attività che non producano
reddito. Dunque la sentenza conferma il concetto espresso dal decreto legislativo.
Ma anche in questo caso molti enti religiosi scelgono di non pagare e ricorrere.Spesso
motivando la scelta con il fatto che l'attività e "l'essenza" degli Iacp non
sono paragonabili alle attività delle varie realtà ecclesiastiche. Va detto
che molti di questi ricorsi vengono vinti.
L'interpretazione della Corte Costituzionale viene resa nulla dal decreto legge
"Berlusconi" del dicembre 2005 che, a meno di quattro mesi dalle elezioni (di
certo non si tratta di un caso), sancisce che "l'esenzione… si intende applicabile…
a prescindere dalla natura eventualmente commerciale delle stesse". Cioè: in
nessun caso le attività della Chiesa che rientrano nei parametri citati all'inizio
dell'articolo, devono pagare l'Ici, anche se producono reddito. Inoltre, con
una modifica successiva, il governo Berlusconi stabilisce la validità retroattiva
della norma. Ovvero: niente è dovuto neanche per gli anni precedenti all'entrata
in vigore di questo decreto.
Arriviamo al governo Prodi che sulla materia interviene con un decreto legge
della scorsa estate che stabilisce: "l'esenzione… si intende applicabile alle
attività… che non abbiano esclusivamente natura commerciale". Dunque,
le attività commerciali pagano ma, attenzione, solo se si trovano in edifici
esclusivamente dedicati al commercio e che dunque producano un reddito.
Per fare un esempio: un albergo di proprietà di un ente religioso dovrebbe pagare
l'Ici. Ma se in questo albergo si costruisce una cappellina, l'uso non è più
esclusivamente commerciale e dunque, secondo la legge attuale, l'Ici non si
paga. Anche se l'albergo è a Rimini e conta decine e decine di stanze. E la
cappella è una frazione minima della proprietà.
Flavio Semprini